Entro pochi anni festeggerà le sue “nozze di Smeraldo” con il palcoscenico, rinnovando ancor di più quel patto di affetto col pubblico che persiste inossidabile fin dal suo esordio nel 1978. Parliamo di “Pipino il breve”, musical siciliano di Tony Cucchiara che da ben 37 anni diverte ed incanta platee di ogni età e regione. Esempio raro di opera completa e culturalmente caratterizzata (ma pur sempre di “genere”) capace di spingersi oltre i confini italiani fino in Australia e nelle Americhe, riuscendo ad approdare in ultimo nel tempio storico del musical (Broadway) con tanto di premio al suo magnifico e istrionico protagonista, Tuccio Musumeci. Accadeva nel 1985 e ad applaudire quest’ultimo al Mark Hellinger Theatre di New York c’era un italo-americano di razza come Robert De Niro. E scusate se è poco. Il successo di “Pipino il breve” e la sua inalterata freschezza compositiva dai fertilissimi anni ’70 fino al periodo musicalmente più “compromesso” di sempre (l’oggi), dovrebbero far seriamente riflettere gli attuali compositori italiani di musical, talmente presi dall’ansia di imitare modelli stranieri (o, più semplicemente, di soddisfare il proprio ego di cantautori), da aver perso di vista le regole basilari del genere in favore di quelle dello spettacolo televisivo. Perché, a parere di chi scrive, quelli moderni sono lontani dal poter essere definiti musical. Sovente stucchevoli, inutilmente rutilanti e, cosa più grave, dimentichi dei principi di struttura ed equilibrio tipici del genere. Baciati dal successo popolare ovviamente (perché gli italiani, si sa, vanno a pane, Sanremo e “Amici”) ma ridondanti e dimenticabili. “Pipino il breve”, proprio come i grandi musical, invece non si dimentica. E non soltanto perché la bellezza delle sue melodie si intreccia al telaio coi motivi e le sonorità siciliane più veraci e “viscerali”, ma perché in quell’ordito, splendidamente in equilibrio fra recitato, danza e mimica, sembra riflettersi una piccola-grande storia del mondo e dell’arte. Tony Cucchiara, talento che il teatro attuale avrebbe l’”obbligo” di promuovere assai più dei celebrati Cocciante &Co., fa confluire in quest’opera tradizioni antiche come la chanson de geste, la tradizione dei pupi siciliani e la riflessione storico-sociale affidata al contrappunto musicale dei cantastorie. Uno spettacolo già “antico” il suo – ma non, si badi, “antichizzato”- che sa essere miracolosamente fuori dal tempo e per molti versi attuale grazie a quell’espediente da meta-teatro (l’intera compagnia recita in pose da marionette in attesa del movimento dei fili) che lo proietta ancora oggi verso la modernità (alla faccia degli acrobati che svolazzano senza senso sui palchi delle produzioni firmate David Zard). E su un corpus narrativo basato sulle note vicende di Pipino re di Francia e Berta dal grande piede, a dominare è la lievità della commedia popolare, riflesso immediato della miglior solarità siciliana, quella che sorride fra i drammi, corrobora i cuori e riconcilia con l’arte pura. E se nella struttura e nello spirito “Pipino il breve” resta comunque un musical, è nell’esperienza di chi vi assiste che la sua lezione riesce a trascendere il genere tramutandosi con naturalezza in poesia. Ad applaudire uno spettacolo perfetto (interpreti e compagnia lodevoli per affiatamento e partecipazione), dalla platea del Teatro Brancati magari non ci sarà De Niro ma, in compenso, c’è un pubblico (a metà fra vecchia guardia e giovani neofiti) sempre entusiasta delle liriche mai superate di Tony Cucchiara e del Pipino più ironico di sempre, quello dell’immenso Tuccio Musumeci. A lui Vois dedica la vignetta e un appassionato abbraccio. Ovviamente tutto “siciliano”.
Testo e disegno di Andrea Lupo