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Da Milano a Zafferana. La storia di Vincenzo Rinaldi. Ho smesso di fare l’avvocato per andare a lavorare la terra

Vincenzo Rinaldi è un uomo comune. Milanese trapiantato in Sicilia e più precisamente a Pisano, frazione di Zafferana (CT), vive una vita tranquilla con una propria casa, una piccola azienda agricola “Il Pigno” e soprattutto una splendida famiglia composta dalla moglie Elisa e da due bambini che hanno le guance del sole quand’è estate. Una vita talmente comune da risultare ormai fuori luogo e per questo eccezionale, perché quando si dimenticano cose talmente comuni e naturali come l’ascolto del proprio animo e la ricerca del proprio posto nella vita, abbandonando vestiti confezionati e ruoli dati per scontato, il rischio è di essere davvero fuori dal tempo e proprio per questo essere considerati quasi degli eroi. Non si sentono tali Vincenzo ed Elisa che rimangono un po’ perplessi quando spesso vengono chiamati a testimoniare la loro storia, come se si trattasse di un’esperienza mistica. Ma bisogna partire dalla fine per comprendere l’essenza del loro percorso. Una fine che ha i colori della serenità e del sorriso che soprattutto Vincenzo ha sempre in viso e che mostra spontaneamente alla luce dei suoi quarant’anni, risultato di chi ha compiuto un lungo cammino fatto di ripensamenti, ricerche e decisioni prese d’un fiato a mezz’aria. Ci si sente così quando si arriva a pressione sull’orlo di una voragine. Perché non è proprio semplice scegliere di abbandonare una strada già asfaltata come quella dell’avvocatura (nel caso di Vincenzo una strada “familiare” visto che dal suo bisnonno fino al padre tutti l’hanno percorsa con successo) e non è semplice scegliere di abbandonare una realtà così grande e spesso travolgente come Milano per rispondere ad un’urgenza più forte, quella della ricerca di un senso vero alla propria esistenza.

Incontro Vincenzo nella sua casa a Pisano, nella campagna dove vive e lavora e dove in estate, da un po’ di anni a questa parte, viene ospitata una rassegna metal chiamata “We Rock”. Il freddo del dicembre siciliano si fa sentire forte qui, ai piedi di un vulcano Etna innevato, talmente vicino da essere un gigante pronto a scomparire, a momenti, tra il buio tardo pomeridiano. Attraverso il sentiero che dalla sua campagna sale fino alla casa abbastanza isolata. Vincenzo mi accoglie con un sorriso che illumina e scalda nel gelo. Entrando nella sua abitazione la calura percepita del camino appena acceso sembra indicare che qui dimora l’armonia. Un pupazzo di un grande volatile appeso sul muro sembra voler sempre ricordare che la libertà è un volo senza catene che può avere le sue cadute ma anche le sue sofferte vittorie.

Il fatto che molte persone siano interessate positivamente alla mia vicenda, mi spinge ad insistere su questa scelta dove la strada non sempre è così in discesa come può sembrare” esordisce Vincenzo entrando quasi in trance. “Molti amici di Milano spesso mi dicono-Beato te che sei andato in Sicilia a vivere in campagna. E io gli rispondo – Beato un corno che tu sei pieno di soldi ed io pur facendomi un mazzo così sto qui a leccar le sarde!”. Lo dice con una risata forte e sincera che evidentemente è per lui una naturale virgola, un segno di quella leggerezza conquistata che permette di vedere anche le situazioni più critiche col pennello della positività. “Ma non sono certo venuto qui per fare soldi o successo” si ricompone. “Dopo esserci sposati con Elisa, avevamo deciso di abbracciare uno stile di vita diverso rispetto a quello caotico di Milano e sette anni fa abbiamo deciso di scendere qui in Sicilia, in questo meraviglioso luogo dove mio nonno aveva un’azienda vinicola.” Una scelta che è il risultato naturale di un progressivo rigetto, di un percorso divergente evidentemente rispetto alla discendenza paterna. “Fai il liceo, poi ti accorgi che qualcosa incomincia a scricchiolare, che i valori nella vita non sono esattamente come ti sono stati passati un po’ da tutti come dato di fatto: lo stipendio fisso, il lavoro gratificante, la clientela. Mi sono laureato dopo molto tempo in giurisprudenza facendo tanti lavori come l’imbianchino, l’educatore, lavorando nella mia sala prove e facendo anche un po’ il cazzone” sbuffa sghignazzando. Una volta laureato, iniziavo ad avvertire però qualche freno.” Perché nella vita a volte possono innescarsi meccanismi per cui se ti ci infili è difficile poi tornare indietro. “Sai, sei avvocato al tribunale, vai coi colleghi a fare l’aperitivo, magari ti piace, poi magari ti accorgi che diventi un coglione incredibile, pensi al tuo denaro e non stai facendo del bene a nessuno” dice Vincenzo con un’intonazione da climax discendente. Diventa serio infatti alla fine di questo pensiero perché probabilmente giunto nella zona rossa della molla che lo ha spinto ad abbandonare tutto. “Sono arrivato dopo la laurea ad un punto in cui la mattina andavo allo studio legale per lavorare, usavo il telefono per le prenotazioni della sala, la sera andavo in sala prove e in più facevo i service. Guadagnavo abbastanza soldi, però a fine mese mi chiedevo, dov’è la vita?” Evidentemente per questo arzillo milanese d’origine siciliana, il trauma di sentirsi spettatore non pagante della propria esistenza è stato davvero forte. Non possono essere accettate condizioni o confini per chi sente pressante e radicale il bisogno di andare verso l’altro all’infuori del proprio sé. “Il contatto con le persone avviene a più livelli. Più filtri ci sono e più tu al contatto con le persone non ci arrivi. Quando in studio arrivava un cliente, io ero l’avvocato e non un uomo, uno strumento che serviva per arrivare a qualcosa. In questo modo era difficile per me sentirmi gratificato. Ho capito che non era la mia strada. Avevo bisogno di un contatto diverso. Così come quello che ti offrono la musica o l’arte in generale dove si esprime tutti insieme e in egual misura qualcosa.”

Non sempre tuttavia è facile seguire ciò che proviene dall’animo, soprattutto quando questo annuncia strade non ancora battute, molto distanti da quelle già note dalle quali, pensi, non potresti mai sfuggire. Si può arrivare anche al punto di cercare testardamente di persistere in ciò che senti sempre più lontano fino a far diventare però questa ostinazione una controprova di un destino ormai evidente. “Ho deciso con mia moglie di andare a vivere qui in Sicilia. Avevo passato nel frattempo gli scritti dell’esame di magistratura e ho continuato a studiare per gli orali mentre raccoglievo le olive, ma è andata male. Fino all’ultimo ho cercato di capire se quella poteva essere la mia vita. Ripensandoci oggi, provo po’ di rammarico e di dubbi: chissà se avrei potuto aiutare qualcuno intraprendendo quella carriera. Quello che so per certo è che il mondo sarebbe migliore se ognuno facesse quello per cui è veramente capace. Vincenzo non ha alcuna reticenza nel riconoscere da che cosa questa filantropia sia alimentata in modo molto chiaro. “Siamo cattolici e questo ci ha aiutato molto. Abbiamo frequentato a Milano una comunità di francescani e ciò ci ha permesso d’avere una visione diversa della vita. Non siamo qui per noi stessi, vogliamo che la nostra vita sia anche per gli altri accogliendo la gente bisognosa. Abbiamo voglia di non sprecare le risorse e la natura te ne dà l’opportunità. Ti mette in contatto con Dio attraverso i suoi piccoli grandi miracoli come l’ulivo che cresce e che continuerà a farlo anche dopo la mia morte o il sole che sorge e tramonta.”

Grazie alla consultazione di libri e alla maturata esperienza, Vincenzo insieme alla sua Elisa ha dato vita nel 2006 all’azienda Il Pigno, specializzata nel settore del biologico, una scelta vissuta in maniera molto rigida e pienamente rispettosa dei tempi e dei modi della natura che gli uomini spesso dimenticano. “Riduciamo al minimo il nostro intervento sui doni che la natura stessa ci offre non utilizzando neanche quei prodotti o quelle tecniche di stimolazione o di “miglioramento” ammesse in questo circuito. La natura si autogestisce da sola con i suoi ritmi che portano frutti di sostanza e di qualità”. Una scelta coraggiosa che mostra ancora una volta, anche a discapito delle annate e dei guadagni altalenanti, come per Vincenzo esista un codice superiore a qualsiasi altra logica: il codice della vita. Da rispettare con fermezza in toto anche nelle sue biodiversità. “Ma non è semplice far capire questo alla gente soprattutto in un momento come questo. I costi più elevati nel mercato biologico derivano proprio dall’unicità del prodotto che viene venduto al consumatore nella sua totale integrità naturale, nelle sue piene qualità nutrizionali e nella sua rarità di lavorazione in certi casi. La gente decide spesso di risparmiare su questo cibo pregiato, ma preferisce poi avere l’Iphone” sorride questa volta amaramente.

Vincenzo viene risollevato dai suoi due bambini che lo attorniano nel tentativo di accaparrarselo nei propri giochi. A loro spetta già da adesso una crescita il più possibile sana e operosa. “Viviamo senza tv” ci spiega il sollecitato babbo “e per questo abbiamo tanto tempo libero. Se i miei bambini hanno voglia di vedersi un cartone, non schiacciano pigramente un pulsante, ma lo chiedono e io e mia moglie provvediamo a metterlo sul computer e si crea un’operazione d’insieme. Una sorprendente cooperazione familiare che, a breve, potrà contare su una terza forza momentaneamente nel grembo di Elisa, ennesimo scacco della famiglia Rinaldi all’agognata parola crisi. “In un situazione come la nostra la crisi la senti di meno. Qui non c’è il rischio di rimanere in cassa integrazione. Se lavori la terra riesci a vivere” ci diceElisapiena di forza mentre prepara la cena. “Oggi si tende a fare i figli solo se si ha un posto di lavoro sicuro. Ma io credo che se ti dai da fare puoi cavartela comunque. Se non si ha la forza di mettere le ansie da parte i figli non si fanno più. Ma il problema è un altro” analizza lucidamente e con speranza “la mia è una generazione di quarantenni cresciuta nel benessere, nella bambagia, che non è in grado di affrontare le difficoltà. Forse i nostri figli ci riusciranno con molte più responsabilità.”

Ne ha tante responsabilità questa famiglia e altrettante risposte concrete. “Non siamo degli eremiti, ma siamo nella realtà. Facciamo ciò in cui crediamo fortemente” dice orgogliosa Elisa. Risposte che puntualmente l’azienda Il Pigno dà nell’esportazioni dei suoi prodotti migliori come l’avocado e l’olio (quest’ultimo particolarmente vantato a Milano dai genitori di Vincenzo oggi pienamente comprensivi delle sue scelte) e nei numerosi mercatini in cui è protagonista di uno scambio umano ancor prima che commerciale, come quelli che si svolgono il sabato proprio all’interno della stessa azienda a Pisano o la Fera bio a Catania e a Messina. No, non può questa storia essere considerata una fuga dalla civiltà, ma possibilità di un nuovo modo di intendere il rapporto tra società e individuo, finalizzato all’esercizio delle singole vocazioni e di conseguenza al bene comune. “Non è una fuga ma un passaggio” chiarisce Vincenzo. “È una scelta. Quando si ha la forte sensazione che quella situazione faccia del male e non si può essere una risorsa per gli altri, via! Non bisogna farsi schiacciare.”

È l’ora di cena e lascio la famiglia Rinaldi per tornare in città. Fuori è buio pesto e il freddo sembra far tremare anche gli alberi. Ma sono solo delle condizioni esterne, quasi delle idee troppo ingombranti in quel momento. La radio passa Eddie Vedder e mi ritorna una frase di Vincenzo che sa di sofferta conquista “La vita è più semplice…”

 

Daniele Giustolisi

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