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Elezioni: il 7 febbraio, il Tar del Lazio si pronuncerà sul nulla osta concesso dal CSM ad Ingroia

Il Codacons ha promosso un ricorso al Tar chiedendo ai giudici di sospendere il provvedimento con il quale il CSM ha deliberato il collocamento in aspettativa per motivi elettorali dell’ex Pm della Procura di Palermo, Antonio Ingroia.

Il Codacons ha così motivato la sua iniziativa legale: “I magistrati non possono passare dal mondo della giustizia a quello politico per poi tornare a fare i magistrati, perché le informazioni da essi acquisite nel corso dell’attività di Pm potrebbero essere utilizzate a fini politici, mentre l’imparzialità del loro operato non sarebbe più garantita in caso di rientro in magistratura”.

Scrive l’associazione nel ricorso:

“l’art. 9 della circolare del CSM del 2008 (che disciplina i collocamenti fuori ruolo dei magistrati) subordina il rilascio dell’autorizzazione alla verifica della circostanza di seguito indicata:

“Non può essere autorizzato il collocamento fuori ruolo di un magistrato che sia impegnato nella trattazione di procedimenti, processi o affari tali che il suo allontanamento possa nuocere al regolare funzionamento dell’ufficio … ”.

Nonostante questo nella delibera de qua non si riscontra traccia della motivazione che avrebbe condotto il CSM a mettere il p.m. controinteressato in aspettativa e ciò lascia dubitare del fatto che l’organo di autogoverno della magistratura abbia effettivamente valutato non solo il rischio di un danno per il regolare funzionamento dell’ufficio proprio in conseguenza dell’autorizzazione al collocamento fuori ruolo, ma che lo stesso aveva già beneficiato del collocamento fuori ruolo presso l’ONU. L’autorizzazione al collocamento fuori ruolo del Dott. Ingroia ha posto quest’ultimo in una situazione quanto meno “singolare” in quanto proprio a causa della conduzione di importanti indagini (Cosa Nostra, trattative Stato-mafia, ecc.), lo stesso si trova attualmente in possesso di numerose informazioni che potrebbero essere utilizzate nel corso della campagna elettorale o, comunque, nel corso dello svolgimento del proprio mandato”.

Nel ricorso del Codacons, poi, sono richiamati alcuni principi che evidenziano come il passaggio dei magistrati dalla giustizia alla politica e viceversa, rappresenti una gravissima violazione della Costituzione Italiana, e pertanto non sia in alcun modo ammissibile:

“l’art. 104, primo comma della Costituzione chiarisce che “La magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere”, mentre l’art. 111 della Costituzione prescrive che “la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. ogni processo si svolge … davanti a giudice terzo ed imparziale”. Se da un lato l’art. 51 della Costituzione dispone che “Tutti i cittadini, dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici ed alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge” e che “Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive a diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro”, non può negarsi che il diritto all’elettorato passivo possa subire delle limitazioni o quanto meno possa essere sottoposto alla verifica di assenza di determinate condizioni quanto a candidarsi sia un soggetto che rappresenti ed eserciti il potere giudiziario, in quanto in questi casi è evidente il rischio che venga pregiudicato il principio di imparzialità, di indipendenza, di prestigio dell’ordine giudiziario stesso. L’aspettativa per impegni elettorali, difatti, costituisce l’illegittimo “canale di collegamento” tra due poteri dello Stato i quali sono e devono rimanere separati tra di loro. Le cd. “navette” dalla carriera parlamentare a quella giudiziaria, purtroppo diffuse nella prassi, attentano al principio di separazione dei poteri e devono ritenersi assolutamente incostituzionali”.

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