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Credere nel vuoto. La profonda esperienza di Erika, artista del popolo.

Erika è nata ad Augusta, ha 23 anni e si definisce artista del popolo dall’età di sei anni. Avere la possibilità d’incontrarla, per una come me, da sempre affascinata dal mondo del circo acrobatico e dei giocolieri, significa aver modo di capire cosa può spingerti a lasciar tutto per cercare casa nelle strade del mondo, conoscere la vita che si nasconde dietro quei colori e quei grandi sorrisi.

In effetti non appena la vedo, trovo proprio il suo sorriso ad accogliermi, presentazione che verrà completata poco dopo da un fiume di parole. Erika è entusiasta e inizia subito a raccontarmi il suo primo contatto con il mondo del circo: «giocavo nel cortile di casa quando a un certo punto vidi arrivare una donna altissima. Credevo fosse un sogno, un gigante arrivato solo per me e basta. Fu quello il momento in cui capii che quella era la vita che volevo».

Detto-fatto. Dopo dieci anni trascorsi praticando ginnastica artistica a livello agonistico, partecipando a gare regionali e nazionali, entra infatti nella compagnia di teatro Casa Comune, trasformandosi a poco a poco in un clown giocoliere.

«Ho passato con loro sette anni, dividendomi tra spettacoli, interventi in quartieri popolari e lavori con i migranti, fino a quando, nel 2006, sono entrata in contatto con l’equipe Clown One, il riferimento in Italia di Patch Adams, prendendo parte a delle missioni in Albania», spiega Erika soffermandosi poco dopo sulle emozioni provate. «Non è facile a sedici anni confrontarsi con i bambini dei reparti oncologici, riuscire a supportare le strutture ospedaliere e i centri per disabili, così come lavorare all’interno dei campi rom, ma il ricordo che ho di quest’esperienza è sicuramente positivo e spero al più presto di poter partecipale a dei progetti in Nepal o in Russia e magari d’entrare a far parte dell’equipe del Gesundheit Institute – n.d.r. Ospedale con sede in West Virginia fondato nel 1972 da Patch Adams basato sul sistema sanitario gratuito e sull’uso del sorriso come elemento integrante ed efficace della terapia medica – ».

Diventata ufficialmente un clown, Erika partecipa nel 2009 al treno della memoria, viaggio rivolto agli studenti e organizzato dall’associazione Terra del Fuoco di Torino verso i luoghi dello sterminio degli ebrei.

L’esperienza nel campo di concentramento

«Il treno della memoria è un’esperienza davvero forte, soprattutto per dei ragazzi ancora troppo giovani per riuscire a confrontarsi con emozioni così intense», questo spiega perché, dopo i primi anni d’assestamento, l’associazione decide d’aprire le porte ai clown per alleggerire, con spettacoli e musica, le 36 ore di viaggio e portare colore in luoghi profondamente segnati dalla morte e dall’orrore. «Sicuramente il momento più toccante di quest’esperienza è stata la visita ad Auschwitz», continua raccontando, «ovviamente non abbiamo organizzato uno spettacolo dentro il campo, ma abbiamo comunque deciso di lasciare un segno, abbandonando, sul muro dove fucilavano i prigionieri, i nostri nasi rossi».

Nel 2010 la passione di Erika per il circo divampa totalmente, nutrita dal lavoro quotidiano all’interno della scuola di circo internazionale Vertigo di Torino, struttura che le consente di confrontarsi con la disciplina che più la stimola, il funambolismo. Dopo mesi trascorsi ad allenare l’equilibrio, seguita dal maestro Arian Miluka, Erika è tuttavia costretta a interrompere il suo percorso a causa di un brutto infortunio, la rottura del tendine d’Achille, che per un acrobata ha come epilogo la fine della carriera.

«Il mio sogno non poteva essere fermato da un “piccolo” incidente, così dopo cinque mesi di fisioterapia, ho deciso di cambiare disciplina, sostituendo il filo teso con la corda molle, e riprendere a esibirmi. Amo essere funambola! Essere funamboli è come aderire a una fede religiosa: credere nel vuoto. La sfida reale non è l’altezza, ma riuscire a conquistare il pubblico, camminando sospesa tra il vuoto e il loro sguardo».

Al momento Erika si è allontanata dal circo per dedicarsi allo studio universitario, ma quando le chiedo dove s’immagina tra un paio d’anni la sua risposta è immediata: «On the road. Tra un paio d’anni mi vedo su un camper, gironzolando per il mondo con il naso rosso in tasca e la bombetta sulla testa. Non amo qualificarmi come circense proprio per questo motivo, io sono un’artista del popolo, l’unico palcoscenico di cui ho bisogno è la strada».

Alessandra Giuffrida

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