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Renato Carpentieri: un premio, un incontro e un omaggio

Alla conferenza stampa dei 71° Nastri d’Argento è stata l’unica standing ovation tributata rigorosamente in piedi dai giornalisti al momento dell’annuncio del premio. Momento improvvisato e genuino, di quelli che riempiono il cuore di chi applaude quasi quanto quello di chi viene applaudito. Celebrazione di un talento non nuovo ma “giovane”, perché ancora straripante di possibilità ed espressioni. A dispetto di qualsiasi età. Più della diva Bellucci ha potuto lui, Renato Carpentieri, da 27 anni magnifico caratterista al soldo dei maggiori registi di un quarto di secolo cinematografico italiano (Amelio, Luchetti, Martone, Salvatores, Greco, Moretti e i Taviani) ma anche personalità teatrale al servizio di giovani promesse (Molaioli, Rorwacher) e di consolidate professionalità autoriali (Grimaldi, Di Robilant). Ci voleva il Nastro d’Argento 2017 per “La tenerezza” (il secondo dopo quello vinto nel 1993 per “Puerto Escondido”, primo riconoscimento cinematografico ufficiale di carriera) per rendere finalmente a Carpentieri la gratificazione pubblica che mancava, quella del mondo del cinema. Del cinema si diceva perché dal teatro il grande attore originario di Savignano Irpino ha ricevuto già enormi soddisfazioni nel corso degli oltre quarant’anni di carriera passati dentro e fuori la scena (dalla fondazione, negli anni ’70, del Teatro dei Mutamenti fino alla direzione artistica del gruppo sperimentale Libera Scena Ensemble a metà degli anni ’90).

(Con Gian Maria Volontè in “Porte Aperte”, con Nani Moretti in “Caro diaro”, “Così credevamo”)

Una personalità umile la sua, lontana anni luce da ogni forma di divismo “da palco”. Accoglie l’applauso della platea di giornalisti presenti alla conferenza stampa con un lieve imbarazzo (e chissà, forse anche una punta di commozione), visibilmente travolto da un’esplosione emozionale che probabilmente non si attendeva. Eppure vederlo lì seduto tra i premiati, l’aria semplice e lo sguardo a tratti vagulo, suscita nei presenti quella stessa tenerezza che l’attore ha saputo distillare benissimo nell’emozionante film di Gianni Amelio. Ognuno di noi, del resto, è bisognoso di quello sguardo. Tutti noi in fondo siamo stati come la Mezzogiorno al termine della narrazione, impazienti di ricevere quel segnale di approvazione e silenziosamente commossi dinanzi allo sgretolarsi di un muro. La simbiosi fra attore ed emozione suscitata raramente si sposa con le coordinate del reale. Renato Carpentieri con la sua semplicità riesce in questo piccolo, grande miracolo emozionale. Lo raggiungo dopo gli allori ricevuti in conferenza stampa, mentre si è già isolato su un balcone per prendere fiato dopo quel primo pomeriggio fin troppo afoso, con lo scopo di consegnargli l’omaggio da me preparato. Lo riceve ed accoglie con sorpresa e calore. Mi rammarico un po’- e glielo confesso- per averlo ritratto piuttosto serioso ed accigliato, in uno di quei fotogrammi del film in cui esprime ancora durezza. Lui però non batte ciglio: “Questo è l’inizio della tenerezza!” mi risponde col sorriso, alludendo a quella lenta, graduale conversione del suo personaggio. Gli occhi accesi e determinati di Renato Carpentieri raccontano realmente, nel film così come dal vivo, la storia di un’anima che si libera dalle zavorre dell’impassibilità per aprirsi alla condivisione. Finalmente posso dirlo: quella tenerezza è reale.

Testo e disegno di Andrea Lupo

Foto di Riccardo Marino

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