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Non chiamateli “mascherati”! Cosplayer a Etna Comics

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Nei giorni scorsi, girando nei pressi delle Ciminiere di Catania, vi è capitato per caso di imbattervi in un amichevole Spiderman di quartiere che divorava con slancio un arancino al ragù? O di vedere Pocahontas mentre sorseggiava disinvoltamente un caffè insieme a Frodo Baggins o Capitan America? Se la risposta è sì restate pure tranquilli. Il vostro sistema nervoso era a posto e intorno a voi non era riesploso fuori stagione il Carnevale (guai, anzi, a chiamarlo così!). Vi eravate soltanto imbattuti (o sperduti) in quella regione di EtnaComics chiamata cosplay-landia, multicolore terra di confine in cui le maschere divengono volti e i costumi sono personaggi. Qui un ragioniere può diventare un avenger e una commessa mutare in sontuosa regina del ghiaccio. Per finta s’intende. Ma se – per citare un film di Ozpetek- “non v’è niente di più naturale di una finzione reale”, allora a EtnaComics la finzione, nei giorni scorsi, si è aggiudicata una bella fetta di realtà.

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Nella terra dei cosplayer non è il corpo ad indossare il vestito ma è quest’ultimo a “possedere” quasi la persona. Senza nevrosi o sindromi freudiane del doppio. Trattasi più semplicemente di una dissociazione giocosa e gioiosa ma pur sempre consapevole. Serissima naturalmente, almeno a giudicare dalla foggia di certi costumi (e armature, divise ed endoscheletri…) splendidamente costruiti in anni di lavoro e perfino dalle scenografie che accompagnano alcune delle aree di esibizione (da menzionare il tempio di Gozer opera dei Ghostbusters Sicilia e soprattutto la bellissima riproduzione di un fedelissimo X-Wing planato sull’erba de Le Ciminiere grazie alla perizia certosina delle associazioni di Star Wars). Il cosplayer (costume-player, letteralmente interprete nel costume) non si “traveste” semplicemente da personaggio di fantasia -di un film, un anime o un fumetto- più affine alla propria personalità, ma vi aderisce fin dove è possibile, grazie alla teatralità di un gesto o di un’espressione tipica, mutuati dagli originali di carta o celluloide e poi fatti propri.

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E poco importa se alcuni di quei corpi non possiedono la statuarietà ideale per accentuare l’illusione identificativa del personaggio in chi li guarda. Si può essere perfetti come gli spartani scultorei di “300” o come quel Jack Sparrow che sbalordisce tutti per mimica e somiglianza, ma anche efficaci come un Frodo-donna occhialuto circondato da Nazgul minacciosi e infine sorprendenti quanto una ordinaria Pocahontas capace di sfoderare grinta e soprattutto voce straordinariamente disneyane (tra le più belle esibizioni canore ascoltate sul palco ). Giocare al grande gioco del cosplay significa anche osare accostamenti insoliti e così ecco sbucare all’ingresso di Racoon City (Resident Evil) l’improbabile coppia Jessica Rabbit-The Mask, seguita da due dolcissime Anna ed Elsa (bambina) di “Frozen” e da una sensuale Deadpool femmina che sacrifica un bellissimo viso pur di intepretare a dovere- come cosplay impone- il mercenario chiacchierone della fortunata trasposizione cinematografica Marvel.

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Una sottocultura quella dei cosplayer (perché distaccata da quella dominante e contrassegnata da regole proprie) che ha assunto visibilità in Giappone durante la metà degli anni ’80 e che in Italia è giunta in tempi relativamente recenti (verso la fine degli anni ’90) sulla scia dei vari Lucca Comics ed Expo Cartoon. Un fenomeno che è cresciuto in maniera esponenziale anche nel belpaese per via della sempre più pervasiva affermazione di quei generi cinematografici -fantasy, fantascienza, horror- portatori naturali della componente immaginifica. E’ fuori di dubbio infatti che a imporre il fenomeno in maniera quasi stabile siano state proprio quelle saghe divenute ormai storia del cinema (Star Wars, Il Signore degli anelli, Harry Potter), contraddistinte già da una forte carica visionaria e da un potente e non sottovalutabile “portato sociale”. Elementi questi che le hanno rese, in barba a tanti detrattori della fantasia, più che un’evasione giovanilistica dal mondo, una vera e propria immersione alternativa nella realtà (perché Tolkien o Lucas non hanno fatto altro che rileggere quell’universo sempre sotto il nostro naso) . Il cosplayer diventa così, molto più che qualsiasi gadget da merchandisng, l’unico ed autentico prolungamento sociologico dell’esperienza vissuta su schermo (o pagine o monitor di pc).

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La predisposizione al role-playng game (questo sì già diffuso prima del cosplay) di quel folto sottobosco di appassionati ha acceso ulteriormente la miccia del fenomeno, dando luogo a una nuova dialettica fra interpretazione, mimesi ed esibizione pubblica. Tutto il resto è storia recente, fra vecchi cosplayer (filosoficamente allineati con la cultura giapponese, quella che trova gratificazione nell’immedesimazione tout-court) e giovani “tirocinanti” che non vedono l’ora di manifestare pubblicamente la loro passione, trascinati, probabilmente, più dall’entusiasmo che dal ruolo interpretato. Per tutti loro il consiglio resta uno solo: “Don’t dream it, be it…”A dirlo era lo sweet transexual nel cult musicale “The Rocky Horror Picture Show”, autentico inno a travestirsi con la propria e più autentica identità. Perché indossare vuol dire sognare e, dunque, anche un po’ essere. Curioso che, in mezzo a tante splendide Maleficent, sfarzosi Beauty and the Beast e inquietanti RedSkull, nessuno a Etna Comics abbia ancora pensato di portare proprio il cosplayer più ispiratore fra tutti, Frank ‘n Further. Lanciamolo noi allora l’appello per la prossima edizione: chi a Etna Comics 2017 vorrà indossare i panni di Frank, Riff-Raff, Columbia e Magenta facendo ballare finalmente il Time Warp a Voldemort,  Harry Potter e Gandalf il Grigio ?

Testo di Andrea Lupo

Fotografie di Anna Strano

 

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