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Il grande Umberto Orsini è Arturo Ui, parodia brechtiana dell’ascesa di Hitler

CATANIA – Cresce l’attesa per il grande Umberto Orsini, ancora una volta ospite del Teatro Stabile di Catania, dove ritorna con un testo brechtiano dal forte ed esplicito impegno civile, La resistibile ascesa di Arturo Ui, impietosa satira sulla presa del potere di Adolf Hitler. Comicità grottesca e feroce denuncia del totalitarismo connotano un capolavoro che ben si inserisce nel cartellone etneo, intitolato dal direttore Giuseppe Dipasquale all’«arte della commedia» per sondare e decriptare l’attuale crisi di risorse e valori.
L’allestimento (una coproduzione ERT-Emilia Romagna Teatro Fondazione e Associazione Teatro di Roma) sarà alla Sala Verga dal 13 al 24 febbraio. A firmare la regia è Claudio Longhi che si avvale della traduzione di Mario Carpitella, drammaturg è Luca Micheletti. Le scene sono di Antal Csaba, i costumi di Gianluca Sbicca, le luci di Paolo Pollo Rodighiero; le musiche originali di Hans-Dieter Hosalla, abbinate a composizioni di Chopin, Eisler, Hollaender, Nelson, Sousa, Spoliansky, Strauss figlio e naturalmente Kurt WeillL; alla fisarmonica Olimpia Greco, autrice anche degli arrangiamenti.
Accanto ad Orsini, mattatore di rango, agiscono Nicola Botolotti, Simone Francia, Olimpia Greco, Lino Guanciale, Diana Manea, Luca Micheletti, Michele Nani, Ivan Olivieri, Giorgio Sangati, Antonio Tintis. Insieme faranno rivivere una pièce di cui si contano in Italia poche ma significative edizioni.
Sarà lo stesso Umberto Orsini a presentare lo spettacolo nell’ambito del ciclo “Doppia scena”, promosso in sinergia dallo Stabile e dalla Libreria Mondadori Diana, che ospiterà l’incontro il 14 febbraio alle ore 17,30, per un’ulteriore occasione di approfondimento su un caposaldo della drammaturgia universale. Uno dei lasciti più decisivi della stagione teatrale novecentesca è infatti rappresentato, senza ombra di dubbio, dal teatro di Bertolt Brecht: pietra di paragone per ogni sperimentazione successiva e oggi classico indiscusso e riconosciuto a livello internazionale.
La resistibile ascesa di Arturo Ui è una parabola satirica sull’avvento del nazismo nella Germania dei tardi anni Venti e dei primi anni Trenta. Quando ormai la Seconda guerra mondiale si sta combattendo da due anni, Brecht sceglie di tornare alle origini di uno sfacelo politico che stava costando il peggio a milioni di esseri umani e, a se stesso, da nove anni, l’esilio.
L’indagine che sceglie d’avviare sui meccanismi perversi del potere e della demagogia sfocia in un allucinato e macabro affresco che, con un facile meccanismo allegorico, egli ambienta non già in Europa, teatro reale del disastro, bensì oltreoceano, in una fantastica Chicago, nella quale ripercorre le fasi della costruzione del consenso per Adolf Hitler sulla falsariga di quelle dell’ascesa criminale di Al Capone. «Un parallelo – osserva il regista Claudio Longhi – parodico e tragico a un tempo, attraverso il quale l’autore innesca la perlustrazione di un fenomeno storico di proporzioni planetarie, consentendo allo spettatore di seguirne lo sviluppo in maniera immediata, di comprenderne gli esiti socio-politici grazie ad una semplificazione mai gratuita e ad uno strumento – quello del teatro, appunto – che ne catalizzi la leggibilità».
La messa in scena intende assecondare pienamente il registro grottesco di questa “farsa storica”. L’incisiva brevità dei singoli “numeri”, la retorica della sopraffazione mafiosa, la serie rocambolesca dei fatti di cronaca narrati e messi alla berlina attraverso la lucida comicità di cui Brecht si serve come arma storico-critica, traducono la parabola in una “rivista” briosa e nitida, caustica ed elegante, sul tragico nonsenso del nostro passato. La resistibile ascesa di Arturo Ui sviluppa così un apologo feroce e violento sulla tragedia europea del Nazismo, sull’intreccio terribile e puntuale di economia e terrore, di gangsterismo politico e consenso di massa. Scegliere di rappresentarlo vuole essere un imprescindibile esercizio di memoria: quella stessa memoria di cui sarebbe immorale perdere le tracce e di cui soltanto i classici – antichi e moderni – sanno farsi portavoce magistrali, realizzando l’ideale supremo per cui ogni opera d’arte deve avere valore di civiltà.

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