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Richard Gere infiamma il festival e Taormina

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“Grazie per avermi invitato a una serata così intima, fra poca gente. Così tranquilla, tutti silenziosi. Perchè gli italiani sono timidi, non gli piace farsi sentire…”. La butta subito sull’ironia la star assoluta del 61° Taormina Film Fest, quel Richard Gere che non ha bisogno di presentazioni, nemmeno per mezzo dell’immancabile clip che ne riassume una carriera già di suo versatile e avventurosa. Perché le ovazioni e i gridolini accompagnano puntualmente le immagini proiettate sul grande schermo, componendo quasi una singolare “ola” sonora di mutevole intensità che, neanche a dirlo, raggiunge prevedibilmente il picco all’affacciarsi del miliardario brizzolato e fascinoso di “Pretty Woman”.

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Certo manca qualche estratto dai suoi ruoli più ambigui e meno noti (Chi se lo ricorda come poliziotto corrotto nel bellissimo “Affari sporchi” di Mike Figgis?), ma l’essenza del grande attore, e non solo della star, è resa tutta. “Il Dottor Gere e le donne” verrebbe da dire parafrasando il noto film di Robert Altman in cui il nostro si trovava ad affrontare più di una questione con l’altra metà del cielo. E in effetti di donne il Teatro Antico è pieno; due forse tre generazioni, ognuna rigorosamente col proprio Gere del cuore.
“Ogni volta che vengo in Italia vedo tutte facce sorridenti e le conferenze stampa sono tutte un casino!” E chi avrebbe potuto dargli torto durante l’incontro che ha preceduto la serata al Teatro Antico, dinanzi a quel Palacongressi pieno quasi fino all’ultima fila (coi posti vuoti in alto debitamente compensati dalle formazioni laterali, schieramenti pseudo-militari di ragazze “armate” fino ai denti di smartphone, biro e poster da autografare)?

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Un delirio smorzato dall’inizio della conversazione con il critico (e suo amico di una vita) Claudio Masenza che, con naturalezza, fa ripercorrere al divo una carriera cinematografica iniziata in modo quasi indipendente (“I giorni del cielo” di Terrence Malick), proseguita tra i fasti hollywoodiani e recentemente approdata ad una nuova dimensione più intima e underground, grazie a progetti piccoli ma qualitativamente importanti come “Franny” (in Italia dal 2016 con il titolo “Il segreto”) o il quasi sperimentale “Time Out of Mind”. Un titolo in cui la fiction sembra incontrare la docu-fiction grazie a quella storia di un homeless inteso a riconquistare il rapporto con la figlia, pellicola in cui Gere ha deciso di recitare mescolandosi realmente coi veri vagabondi di strada.

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Si percepisce dal trasporto con cui parla di quest’ultimo film che il cinema per lui non rappresenta più (solo) una questione di star system quanto, piuttosto, di responsabilità nei confronti di ciò che si racconta. Del resto è la sua stessa filosofia buddhista che, dopo avergli donato quiete e benessere interiore, deve ispirarne costantemente il pensare così lucido e l’empatia autentica nei confronti delle tragedie del mondo (non ultima quella dell’immigrazione sulla quale l’attore non esita ad esprimere il suo punto di vista). Non è un caso che il bel Richard, dopo aver nitidamente fatto il punto su alcune delicate questioni fra le quali quella del Medio Oriente, declini gentilmente l’invito di una giornalista-fan ad inviare un bacio alla platea femminile. Perché, dopotutto, spezzare con un futile ritorno alla mondanità da sex symbol, quella parabola riflessiva fatta di quiete, delicati ricordi cinematografici (l’incontro “sfiorato” con l’ammirata Giulietta Masina) e perfino un the offerto simbolicamente e amichevolmente al pubblico?

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Per scintille e ringraziamenti ci sarà posto più tardi fra affettuose e ironiche vignette consegnate all’Hotel Timeo (quella da parte di Vois che lo ritrae sullo sfondo di una Taormina simile alla “Chicago” del musical) e inaspettati inviti – rivolti ovviamente alle sole donne- a salire sul palco del teatro. Un folgorante fuoriprogramma che, in un turbinio di estrogeni impazziti, manda all’aria qualsiasi protocollo di sicurezza permettendo al Dottor Gere di concedere quel “bacio” poco prima negato in un modo più inaspettato che ravvicinato.
Questa, signori, più che Tao Class si chiama semplicemente “Classe”.

Testo e disegno di Andrea Lupo

Foto di Danilo Vitale

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