Home » Cinema - Televisione - Musica » Humandroid- la recensione

Humandroid- la recensione

chappie-movie-poster-2015-wallpaper-robot-die-antwoordVi ricordate Numero Cinque, lo svampito robot militare protagonista del cult nerd anni ’80 dal titolo “Corto Circuito”? Chi ha meno di trent’anni probabilmente sconoscerà quella macchina cingolata resa “umana” dalla scarica di un fulmine e perennemente in cerca di “input” da divorare come il pane col burro (anche se il disneyano Wall-E ne rappresenta la filiazione ideale). Neill Blomkamp, che di anni ne ha 35, sicuramente è cresciuto con quell’icona anni ’80 ben impiantata nel suo immaginario di cineasta di fantascienza e “Humandroid” (terza sua fatica dopo il folgorante “District 9” e il discreto ma meno incisivo “Elysium”) ne è la prova. Perché Chappie (questo il nome del robot mattatore del film) ha tutte le caratteristiche per essere apparentato a Numero Cinque. Animo da bimbo sperduto, spasmodica richiesta di informazioni e vocabolari, vocazione militare implicita nella sua scheda hardware, Chappie è il risultato di un esperimento sulle A.I. condotto dall’ennesimo scienziato giovane e folle. Il sogno di una coscienza umana da far scorrere liberamente fra metalli e silicone. Nulla di nuovo insomma perché è più o meno da “Metropolis” in poi che il cinema flirta con una simile idea e non c’è decennio che non regali esempi memorabili di robot umanizzati (dal David di “A.I.” fino al meraviglioso “Wall-E”). Chappie, sorta di Robocop meno muscolare, è al centro di una vicenda che vede scienziati buoni e cattivi contenderselo per motivi differenti, mentre sullo sfondo una family-gang lo rivendica come braccio armato per rapine e pargolo da iniziare alle arti della malavita. Nelle mani di Neill Blomkamp, regista interessante ma ancora in cerca di una propria identità, l’occasione offerta da un tema così abusato è però quella giusta per ibridare un certo amore per quel decennio perduto (gli anni ’80, con tutto il loro carico di ingenuità e rozzezza) con alcune ossessioni già divenute ricorrenti del suo cinema (la mutazione psico-fisica, la rinascita dentro nuovi involucri). Il risultato è, per l’appunto, un ibrido, non perfetto e qua e là elementare ma di genuino intrattenimento e dalla insospettabile presa emotiva. Non la svolta nel genere che ci si sarebbe potuti attendere dall’autore di District 9 ( in tal senso il titolo originale, Chappie, rende meglio il tono smargiasso del film), ma una parentesi ludica e favolistica disseminata di suggestioni “serie” e personali. Il corpo e le sue trasmutazioni sono, come dicevamo, fra le ossessioni più ricorrenti dei film di Bloomkamp. Corpi devastati da un’infezione aliena che agisce sul DNA e società in cui esseri insetti-formi si accoppiano con umani (District 9). Capsule mediche che rimuovono tumori o ricostruiscono intere scatole craniche ed esoscheletri collegati al sistema nervoso che rendono corpi in disfacimento potenti come dei cyborg (Elysium). Ben oltre la riflessione sulle divisioni sociali presente già nei primi due titoli (e in Humandroid solo impercettibilmente accennata), nel cinema del regista sudafricano a prevalere resta ancora il concetto “fantascientifico” di corpo quale contenitore insufficiente e caduco della coscienza, sorta di guscio rimpiazzabile con altri capaci di oltrepassare i limiti imposti da quello umano. Anche qui, al termine di battaglie, confronti con cattivoni bidimensionali (Hugh Jackman) graziati da un’intelligenza non più artificiale e uccisioni di cattivi per cui invece si fa il tifo, tutto in definitiva sembra ruotare intorno al concetto di “involucro”, quello che magari attende solo nuove batterie per rinascere e quello di esseri umani “guasti” (come lo scienziato o la famiglia-gang) che aspettano di essere sostituiti da nuove e più “rigeneranti” forme estetiche (e forse anche “morali”). Non sappiamo se il modo di trattare simili temi sottenda una lettura più “trascendente” degli stessi o se, più semplicemente, coincida con un infantile e quasi regressivo “rifiuto dell’idea di mortalità” da parte del suo autore. Di sicuro c’è che “Humandroid” funziona proprio come il Chappie del film: installa una scheda “pensante” dentro un involucro studiato proprio per non far pensare…

Andrea Lupo

Lascia un Commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato.I campi obbligatori sono evidenziati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.