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Recensione “Si alza il vento” di Hayao Miyazaki

Si alza il Vento - CLIP - Il sogno di librarsi nel cielo NewsSi alza il vento, quello del cambiamento, della guerra e di sentimenti coltivati un’intera vita. Si chiude il sipario sull’opera di un genio dell’animazione, quel poeta del colore e della matita che con la luce del suo umanesimo, figlio di una saggezza tutta orientale, ha saputo riscaldare anche i cuori delle più “fredde” generazioni occidentali. “Si alza il vento” è l’ultima brezza che il maestro Miyazaki ha deciso di donare al pubblico prima di congedarsi definitivamente dal cinema, la pellicola che chiude coerentemente una filmografia e una carriera che avremmo voluto infinita, e l'opera con la quale l’arte (animata) sembra volersi consacrare idealmente alla vita. Mai un film di Miyazaki è apparso infatti così impregnato di sincerità e autobiografismo ma anche di dolente e riflessiva bellezza. Nella vicenda del miope progettista che scruta il mondo attraverso spessi occhiali e rintraccia l’armonia dei velivoli nella perfezione di una lisca di pesce, c’è tanto l’eco delle proprie memorie familiari (il padre del regista possedeva una fabbrica di “Zero”, famigerati caccia da guerra), quanto l’ansia creativa del genio al lavoro, colui che non esita a sacrificare la vita- e talvolta l’amore- all’ingegno. Ma, si badi, la creatività che ispira Jiro durante il percorso che lo condurrà a progettare splendidi aeromobili poi convertiti in macchine da guerra, non è un’inquietudine corrosiva o autolesionistica, ma un impulso consapevole e positivo, costantemente filtrato (e suggerito) dall’amore. Quello per il volo, la famiglia e gli amici ma anche l'amore assoluto per l’unica creatura che proprio il “vento” gli darà modo di incrociare lungo il suo cammino. Nahoko, la pittrice che ringrazia la fonte per aver incontrato il suo amore (quanta religiosità in poche battute!) e che sa incarnare tanto l'ideale orientale di femminilità quanto una sensibilità più moderna, diventa ispirazione e chiave di lettura della storia di Jiro anche nelle sue "assenze". Sarà per questo che il film di Miyazaki risulta sempre così autentico e armonioso a dispetto del suo incedere quasi episodico e meno "fluttuante" rispetto alle narrazioni del passato. E tutto ciò nonostante all’interno della sua struttura si dibattano fantasmi mai sopiti di una memoria storica ancora dolorosa (il terremoto che devastò Tokyo nel 1923, quel nazionalsocialismo che inizia a coagulare in Europa, la guerra che trasforma gli abitacoli in bare). La Storia (quella con la “S” maiuscola) pesa in modo evidente sulle vicende narrate nel film, al punto che le visioni fantasmagoriche tipiche del passato (“La città incantata”, “ Il castello errante di Howl”) sembrano voler cedere il passo a un realismo più appropriato e oseremmo dire “devoto”. Questo però non significa che Miyazaki rinunci a (farci) sognare anche qui. Bastano quei piccoli squarci onirici in cui fa capolino il loquace ingegner Caproni con la sua splendida filosofia creativa (“Prima di tutto viene il buon gusto. La tecnologia seguirà….”) o un delicatissimo corteggiamento condotto da un balcone per farci librare con la stessa intensità del passato sulle ali (di carta) della fantasia e della tenerezza. In volo sopra le illusorie certezze della vita, sui sogni convertiti in incubi e su quell’Amore che è come il dipinto della fedele Nahoko: guastato sì dalla pioggia (la vita?) ma persistente nel ricordo. Cinema definitivo quello di "Si alza il vento", miracolo filosofico intriso di bellezza, esistenzialismo e verità. Ma anche un testamento stilato coi pennelli intinti in una tavolozza che senza vergogna si chiama cuore.

Andrea Lupo

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