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Stomp, il trionfo del global trash

stomp-visuel-affiche3In un fumetto sarebbe il rumore di qualcosa che cade per terra o di un colpo di piede ben assestato. In musica invece “Stomp” è sinonimo di ritmo o di un beat, l’equivalente “fisico” di una percussione che non ha bisogno di strumenti per venir fuori. Bastano solo il pestare su una superficie o lo schiocco delle dita. Intuizioni perfino primordiali che però la grinta e l’esaltazione di un gruppo di performer britannici, sotto la guida degli “inventori” Luke Cresswell e Steve McNicholas, hanno trasformato negli ingredienti principali dello spettacolo più global e innovativo dell’ultimo ventennio di Broadway. Per l’appunto il celebratissimo “Stomp”. Dopo oltre vent’anni passati ad infuocare i palchi di mezzo mondo coi loro ritmi furiosi, sospesi tra il tribale e il metropolitano, gli “stompers” sono finalmente approdati anche a Catania in due date (11 e 12 Marzo) che sono divenute già storia. Un’ora e mezza di spettacolo forsennato, coinvolgente e privo di pause che ha reso non poco partecipi gli spettatori del Teatro Metropolitan, “orfani”, nemmeno  due mesi fa, dell’ atteso “Priscilla” (annullato a pochi giorni dalla première). Scenografie essenziali e “sporche”, trash urbano a mo’ di strumenti musicali (perché dalla carta di giornale ai tubi, dagli accendini fino ai lavelli, qui non si butta via proprio niente!) e infine la fisicità esplosiva di otto ballerini, anche acrobati e mimi (perché lo stomper non è mai performer a senso unico), che inscenano uno spettacolo visivamente seducente e drammaturgicamente strutturato (le sequenze in fondo funzionano come scene di atti, ora impetuosi ora comici e non manca neppure un insolito “Entr’acte“ affidato qui alla suggestione del buio e a un pugno di accendini!). I piedi degli spettatori pestano liberamente il pavimento e le mani applaudono sotto le indicazioni divertite degli artisti, mentre va in scena l’equivalente di un duetto comico fra loro e il pubblico. Nessuno riesce a tenere il passo, neppure i più bravi a ritmare, perchè la bacchetta per dirigere la tengono unicamente quegli otto fantastici protagonisti. Tutto questo e molto altro, è “Stomp”, sorta di brand teatrale ormai entrato nell’immaginario comune (il gruppo londinese si era esibito anche durante la cerimonia di chiusura dei Giochi Olimpici 2012).  Ma dello spettacolo, oltre che la coreografica e perfetta sintonia fra corpi e suoni, non va comunque sottovalutata l’importante, e in qualche modo innegabile, valenza ideologica. Perché il riutilizzo in chiave espressiva (in questo caso teatral-musicale) di tutto ciò che viene “rifiutato” dalla società, compresi quei reietti sub-urbani incarnati dagli artisti, non è (solo) l’ideuzza che così parrebbe ad un primo e più superficiale sguardo. Nello spettacolo infatti scorrono, quasi sotterranee, le tipiche contraddizioni della società globalizzata, quella stessa che accumula disinvoltamente immondizia e poi la relega in mucchi indistinti, senza però essere capace di cogliere il reale valore degli elementi che la costituiscono o di tirare fuori le potenzialità in essa celate. Se ci sforziamo dunque di leggere un po’ più in profondità, “Stomp” non risulta soltanto l'affascinante arabesco di suoni della modernità servito attraverso la riscossa degli oggetti inutilizzati, ma anche una sorta di riscatto “sociale” affidato a quella fascia di derelitti che non ha più una voce per esprimersi ma, ormai, unicamente rumori, ovvero i soli e autentici “depositari” della loro personalità. Magari non sortirà quell’effetto di sensibilizzazione globale che si vorrebbe (il messaggio “ecologico” è imbrigliato in uno spettacolo troppo suadente per poter far pensare davvero); tuttavia “rivendere” il trash sui palcoscenici a quella stessa società che continua a produrlo indifferentemente non è già, in qualche modo, una piccola rivincita?

Andrea Lupo

 

            

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