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Insoddisfatto, ma non molto precario: identikit dell’operatore di call center siciliano

Call centerPALERMO – Diplomato, over 30 e senza figli, con guadagno netto mensile che non supera i mille euro e, ovviamente, insoddisfatto. Ma non particolarmente precario. È questo l’identikit dell’operatore di call center in Sicilia che emerge da una ricerca condotta da Maurizio Avola e Rita Palidda e pubblicata nell’ultimo numero di Strumenti Res, la rivista della Fondazione Res che si occupa di tematiche socio-economiche. Lo studio “Lavorare in un call center in una città del Sud” ha preso in esame i call center di Catania, abbastanza tipici della situazione regionale, confrontandoli con la realtà di Milano.

A lavorare in queste strutture sono per lo più donne (67,7%), «ma la presenza maschile – rilevano Avola e Palidda – è più cospicua rispetto al Centro-Nord, presumibilmente in ragione della maggiore carenza di sbocchi occupazionali alternativi». In queste strutture si ha una presenza maggioritaria di giovani adulti (il 51% ha dai 30 ai 39 anni), mentre è esigua la quota di operatori più giovani e soprattutto anziani, che sono più numerosi a Milano. Il titolo di studio prevalente è il diploma (59%), poco meno di un quarto è studente universitario e il 17% ha una laurea. Inoltre, nonostante il 61% degli operatori abbia dai 30 anni in su (e un terzo ha più di 35 anni), solo il 39% ha già formato una famiglia e solo il 20% ha figli.

La ricerca di Avola e Palidda evidenzia che «molto spesso il call center non è un canale di primo inserimento lavorativo e non è un lavoro in transito. Solo per una minoranza di operatori (circa un terzo) il lavoro attuale è il primo». Anche se lo scelgono come lavoro transitorio, gli operatori catanesi tendono a restare nel call center a lungo: solo poco più di un terzo (e sono soprattutto i più giovani) ha una anzianità di lavoro che non supera i due anni, mentre poco meno del 30% ha superato i 10 anni e circa il 20% i 5 anni.

«Sul piano contrattuale – scrivono i due studiosi – non sembra del tutto vero che il call center sia il regno della precarietà. L’instabilità contrattuale è una condizione quasi esclusiva all’ingresso, ma nel corso del tempo una parte consistente degli operatori, inizialmente assunti con forme contrattuali atipiche, approda alla stabilità (37%). Si tratta sempre di un dato più alto rispetto alla media delle attività lavorative e, peraltro, non riguarda i call center con meno di 50 dipendenti, dove l’instabilità è molto più diffusa. Il raggiungimento di un inquadramento a tempo indeterminato è, comunque, una conquista che si consegue in tempi piuttosto lunghi: a Catania la quota di lavoratori stabili cresce in modo consistente solo dopo cinque anni passati all’interno dello stesso call center».

Orari ridotti e basse retribuzioni sono l’ulteriore peculiarità del lavoro. A Catania il 42% degli operatori lavora fino a un massimo di 29 ore, il 37% da 30 a 39 ore, gli altri 40 ore e più. «L’orario di lavoro ridotto – spiegano Avola e Palidda – non risponde solo alle esigenze di flessibilità delle imprese, ma può andare incontro anche a quelle dei lavoratori, per diverse ragioni connesse sia allo stress causato da un lavoro ripetitivo e faticoso, sia alle esigenze di conciliazione con impegni di famiglia e di studio». La diffusione di orari di lavoro ridotti si riflette naturalmente sulle retribuzioni che per il 57% degli operatori catanesi non superano gli 800 euro medi mensili e per 4 su 5 restano al di sotto della soglia dei 1.000 euro.

Se il call center offre opportunità di lavoro, sembra offrire ben poche soddisfazioni: il 75% degli operatori catanesi si dicono poco o per nulla soddisfatti. L’insoddisfazione è più alta di quella riscontrabile tra gli operatori milanesi.

«L’indicazione prevalente che sembra emergere dalla ricerca – commentano Avola e Palidda – è la necessità di puntare al miglioramento delle condizioni di lavoro e di impiego e di promuovere transizioni più sostenibili, accrescendo all’interno il ruolo della formazione e all’esterno le chance di mercato, per ridurre gli elevati rischi di instabilità, intrappolamento, insoddisfazione e spreco di risorse di capitale umano».

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